Potrebbe essere lunga, ma merita parecchio.
Da un intervista per Metro.co.uk
[...]
D: La cosa che mi affascina riguardo la vostra uscita
dall'industria dei videogiochi è che l'avete fatto di vostra spontanea
volontà, nonostante all'epoca Oddworld fosse ancora parecchio in voga.
Ma esattamente, perché lo avete fatto?
R: Bhé, ne avevamo abbastanza. Ne avevamo abbastanza di quanto stava
succedendo. E ciò che stava succedendo era, semplicemente, che se volevi
fare giochi costosi dovevi farti dare i soldi da un publisher e, se lo
facevi, praticamente dicevi addio alla tua compagnia. Voglio dire, fu
quello, ed è così che l'industria è cambiata.
Via via che i videogiochi si sono fatti più costosi da sviluppare,
non si sono fatti più costosi da acquistare, no? L'etichetta del prezzo
da 50$ c'è sempre stata, sin dai tempi del NES. 50$ o 60$. Ma i giochi
hanno iniziato a costare milioni e milioni [per essere fatti]. Quando ho
iniziato questo lavoro un videogioco si produceva con una media di
500'000$, forse 1'000'000$, se era per SNES o MegaDrive. Poi arriviamo
all'era della PlayStation ed ecco che oh! Ci vogliono milioni di
dollari. La gente si preoccupare: il team deve crescere, le spese
aumentano.
Noi ci siamo voluti entrare e per poter continuare dovevamo vendere
sempre più unità... e sapete cosa? Potevi anche venderne milioni, ma lo
sviluppatore non avrebbe visto un soldo per le royalty. Da lì la cosa è
andata peggiorando. Con l'aumentare dei soldi coinvolti sono andati
diminuendo i diritti degli sviluppatori. Si arrivava a dover lavorare di
più per ricevere di meno e, cosa che all'epoca non mi immaginavo
sarebbe mai successa, molti publisher di alto livello non volevano avere
niente a che fare con te se non potevano diventare proprietari dell'IP.
O se non avevano chiara una via d'acquisizione dello stesso.
Ora, quando crei una compagnia non lo fai per rivenderla, no? Ma ti
trovavi nella situazione di dover firmare dei contratti di publishing da
15'000'000$ dove al contempo firmavi anche l'acquisizione dell'IP
sviluppato da parte del publisher: se avevi successo si prendevano pure
te e la tua compagnia.
Io guardai a tutto questo e dissi: "Non è per questo che ho iniziato a
fare videogiochi". Non mi interessano queste relazioni: sono sleali.
Non fanno bene all'industria, non fanno bene agli sviluppatori, non
fanno bene ai consumatori. Se è così che si deve giocare, preferisco non
partecipare alla corsa, punto.
[...]
Noi eravamo tra i pochi con una filosofia differente e volevamo
parlare all'industria da adulti. Abbiamo detto "non vogliamo più giocare
con queste regole"... e senza entrare nel merito di chi ha fatto cosa,
questo era il trend. E ora a cosa ci ha portato questo trend? Ad un
mondo di sequel, titoli costati milioni di dollari che i giocatori non
sono intenzionati a giocare perché sono tutti fondamentalmente degli
sparatutto.
[...]
D: Non mi ero reso conto che gli sviluppatori non ricevessero
delle royalty, pensavo fossero una parte fondamentale del contratto di
publishing.
R: Lo è. Solo che devi scavare e scoprire quanti soldi in effetti ti
dovrebbero spettare. E una volta lo abbiamo fatto e... pensa un po',
indovina cosa abbiamo trovato?
D: Penso di poterlo immaginare.
R: Milioni e milioni di dollari d'errore. Certo non a favore nostro.
Ora, fortunatamente qualcuno ci ha detto di farlo e ha fatto altrettanto
ed è fondamentalmente così che ci siamo ripresi la compagnia. Perché
siamo stati capaci di provare che le cose non erano come dovevano
essere, la vicenda si è ridotta a "o ci paghi o ci ridai la compagnia":
molto semplice. E indovina? Ora riabbiamo la compagnia, nostra al 100%.
Ora, in questi termini, cosa dovremmo fare? La distribuzione digitale
non era molto diffusa nel 2005. In quell'anno abbiamo fatto Stranger's
Wrath, la gente lo ha adorato... ma i miei colleghi nell'industria non
sapevano neppure che era uscito... e stavamo lavorando con una compagnia
che non vedeva l'ora di assorbirci. [EA, se ve lo state chiedendo].
Qualunque fosse il ragionamento, ormai l'appeal era svanito. Non è
che non volessimo più fare videogiochi, non volevo essere schiavo di
nessuno. Non volevo essere schiavo di quelli che fanno un sacco di soldi
sulle spalle degli sviluppatori. Guardate cosa è successo con Infinity
Ward, quante denunce hanno dovuto fare per [avere pochissimo in
confronto a quello che ActiVision ci ha guadagnato.]
[...]
D. Questi discorsi mi fanno temere che quelle voci riguardo la Bethesda e Prey 2 potrebbero essere vere...
R. Che discorsi?
D. Bhé, sono solo voci, capirai. Non sappiamo se sono vere.
Ma si dice che questo gioco, Prey 2, fosse praticamente finito e la
ZeniMax (compagnia a capo di Bethesda) iniziò ad affermare che dato che
lo sviluppatore, Human Head, aveva ecceduto rispetto ai tempi di
consegna del prodotto stabiliti, non sarebbero stati pagati. L'idea era
di poter acquisire lo studio per un prezzo irrisorio, invece Human Head
andò in sciopero. A quanto pare hanno fatto una cosa simile con Arkane
Studios (autori di Dishonored), dove hanno prestato loro un sacco di
soldi con il preciso intento di creare un debito esorbitante. Come dici
tu non sapremo mai se sono storie vere, ma sappiamo che ora la ZeniMax è
proprietaria degli Arkane Studios, e che Prey 2 alla fine non è mai
uscito...
R. E' così che funziona. Lo stile classico. Non è una storia unica.
Non posso dire che ha fatto cosa nei 20 anni che ho passato
nell'ambiente, ma non è una storia unica, affatto. Potrei anzi
aggiungere che è la pratica più comune... non posso dire nulla su
Bethesda perché non conosco la vicenda e quanto mi racconti tu sono solo
voci, quindi non posso puntare dita ma... nell'industria questa
procedura è tutt'altro che rara.
[...]
Con la crescita dei team, anche le risorse si fanno più di valore... i
team si fanno più grandi e le grandi compagnie di publishing hanno
bisogno di, chessò, 2000 persone di talento da tenere pronte in caso di
necessità... questo le porta ad essere ancor più interessate ad
acquisire le compagnie piuttosto che a pubblicare i loro titoli di terza
parte.
D. Ed è per questo che non ci sono più molti nomi di grandi
sviluppatori indipendenti. Difatti ormai il significato stesso di
"indipendente" è cambiato.
R. Già, già. La grossa migrazione verso gli "indie", giusto? In
queste due stanze [ci troviamo nello stand dei giochi indie PlayStation,
messo di fianco a quello XBOX] quante persone pensi abbiano lavorato
per dei grandi publisher? Molte, giusto? E quanti di loro lavorano anche
su grossi e ambiziosi progetti AAA? Del resto c'è un sacco di
esperienza qui. Ma è tutta gente che preferisce controllare il proprio
destino e correre dei rischi, magari con bellissime conseguenze
sicuramente maggiori ad un "bonus da contentino alla fine del lavoro -
anche se il tuo gioco ha venduto milioni di copie".
D. Ti ritieni uno sviluppatore indie, nel senso moderno del termine?
R. Se intendi "indie" come "indipendente" allora sì, siamo al 100%
indipendenti: autofinanziati, autopubblicati, questo significa. Solo che
al giorno d'oggi... è quasi una stimmate questo nome.
D. Perché oggigiorno con giochi "indie" si intende quasi solo giochi che fanno finta di somigliare a quelli per NES, giusto?
R. Già. Ma in altre industrie non la pensano così, no? L'Academy
Award lo danno ogni anno ad un film indipendente; perché hanno storie
più ricche, non hanno una campagna marketing di 200'000'000$...[...]
D. E dire che ci sono tanti giochi indie assolutamente spettacolari. Il tuo gioco ad esempio, o No Man's Sky...
R. Forse potremmo definirci degli sviluppatori "indie AAA", o "di medio-livello"?
D. Quelli di medio livello sono quelli che sono caduti di più negli ultimi anni.
R. Già. Tutti acquisiti o falliti. Per le ragioni di cui sopra.
D. E siete contenti di riempire questa nicchia? Con giochi
belli e giocabili quanto quelli AAA ma completamente sviluppati in
proprio?
R. Fai tu: con l'autopubblicazione abbiamo venduto molte più copie di
Stranger's Wrath di quante la EA non sia mai riuscita a vendere.
D. Ma davvero? Dice tanto sulla EA di quanto dice su di voi.
R. Lo stesso gioco, pubblicato anni dopo. Abbiamo aspettato che i
loro diritti sul titolo cadessero. Sono caduti. Lo abbiamo venduto noi,
che l'avevamo fatto, in digitale, con un prezzo più basso, ed è andato
più che mai.
[...]
D. Immagino che se riuscite a vendere bene Abe Odyssey: New
'N' Tasty possiate fare un nuovo gioco originale, ma quanto in la volete
spingervi? Presumo non vogliate sfornare 800 seguiti dello stesso
gioco?
R. Assolutamente no, non ne abbiamo alcun desiderio. I grossi
publisher sono business gestiti da investitori: pensate ai Pink Floyd.
Come banda sono capacissimi di fare musica di gran successo, ma vista la
loro grandezza devono prima pensare ad un sacco di cose e giudicare se
hanno ancora i coglioni per mettersi sotto a lavorare. Il nostro piano
invecce è di prendere poche persone e semplicemente toglierle al
marketshare degli altri publisher.
Mi spiego meglio: il nostro piano è fare un prodotto che anzitutto
diverta noi nel produrlo, poi capace di divertire le persone che lo
comprano, che devono percepire di aver speso bene i propri soldi.... a
noi importa più il valore del gioco dei soldi, capisci? Se ci riusciamo,
abbiamo avuto successo. Che tipo di successo? A noi, a differenza dei
Pink Floyd, bastano 250'000 copie vendute e possiamo fare il remake HD
di Abe Exoddus. Con 500'000 copie siamo tranquilli per inventarci un
nuovo IP.
D. Mi sembra ragionevole: non sono numeri folli.
R. Con Stranger's Wrath abbiamo venduto quasi 2'000'000 di copie
quando era sotto publishing... e ora che lo abbiamo rivenduto a 10$...
con tanti giochi sicuramente inferiori da 60$ in giro...
[...]
La morale della favola è: "Guardate, ecco un ragionevole prezzo medio
non dovuto al fatto che 'sto gioco l'abbiamo fatto in 3, in 8 o in 80,
ma al fatto che è un buon prodotto che merita di essere accessibile a
tutti ad un prezzo ragionevole". Forse è qualcosa di più da quello che
ci si aspetta costare un gioco "indie", ma come ho detto: al paragone
con il cinema o con la musica...
D. Presumo la gente sarà sorpresa di vedere che questo gioco indie è "vero" e non l'ennesimo "sinto 8 bit".
[...]
R. [...] Il fatto che siamo piccoli ci crea una nicchia. Non abbiamo
bisogno di dire "dobbiamo vendere 4'000'000 di unità per poter fare
qualcos'altro alla luce della campagna di marketing da 100'000'000$ che
abbiamo sostenuto". E sai cosa? Saremmo ancora in affari! Con poche
copie vendute ad un prezzo moderato saremmo capaci di fare un altro
gioco. [...]